giovedì 17 febbraio 2011

Messico - A dieci anni dalla Marcia del Colore della Terra


Messico - A dieci anni dalla Marcia del Colore della Terra
di
Vilma Mazza

5 / 3 / 2011


Nel marzo 2001 dal Chiapas parte la Marcia del Colore della Terra che porterà una delegazione dell'Ezln fino a Città del Messico. Le tappe della carovana attraversano tutto il Messico per portare la domanda di riconoscimento dell'autonomia fino al Parlamento.
L’immagine delle migliaia di basi d’appoggio lungo la strada di San Cristóbal de Las Casas nella nebbia dell’alba che salutano la corriera con i comandanti in partenza per la capitale insieme a tutti noi “internazionali”, penso sia qualcosa che non dimenticherò facilmente. Un saluto dietro cui c’era una scommessa collettiva: il mettersi in gioco per parlare a molti, per partire dalle proprie comunità, dal proprio vissuto per affrontare altri mondi ed altre realtà. Per mettere a disposizione la propria resistenza perché intorno ed oltre ad essa si possa costruire qualcosa di più grande, qualcosa comune.
La marcia del colore della terra per tutti noi nel 2001 era profondamente connessa con la strada del movimento “no global” e quello che di lì a pochi mesi sarebbe stato l’appuntamento delle giornate di Genova.
Avevamo scelto di essere in tanti in Messico con le nostre tutte bianche per dare corpo ad un percorso che ci avrebbe portato nelle giornate genovesi a costruire un cammino comune per disobbedire ad un ordine globale rappresentato dai grandi della terra e dei loro vertici blindati e per affrontare la violenza che ha ucciso il nostro compagno Carlo Giuliani.
Da allora ad oggi sono passati 10 anni di grandi cambiamenti. Viviamo nel tempo della crisi globale, una crisi che è al tempo stesso economica, ambientale, sociale, una crisi senza sviluppo. Viviamo il tempo della violenza di un sistema che tenta di utilizzare la crisi per riprodurre un sistema che garantisca sempre più a chi ha già e sempre più precarietà per tutti.
Se devo riflettere su quello che la marcia del colore della terra ci ha lasciato utile per oggi penso si debba partire da quello che di profondo la marcia è stata: la scelta di mettersi in gioco a partire dalla propria specificità e di porsi il problema della necessità di affrontare una idea generale della società. La consapevolezza che non può esserci nessuna dimensione specifica o soluzione specifica che non costruisce un comune nuovo per tutti.
Dal Chiapas ogni tappa della marcia è stata il modo per incontrarsi e riflettersi e riflettere con altri, altri per colore, per collocazione, per storia di sfruttamento ma anche di ribellione. Tappa dopo tappa conoscevamo una storia del Messico dal basso che nessun libro di storia racconta.
Ed è quello che oggi ancora continuiamo a fare ed a ricercare nella convinzione che nessuno di noi è autosufficiente, che nessuna delle nostre storie da sola costruisce il grimaldello del cambiamento ma solo la forza della ricerca di un comune nuovo che sia resistenza e opposizione e contemporaneamente costruzione di alternativa, può dar vita al mondo diverso che dobbiamo costruire.
La marcia ci parlava e ci parla della necessità di affrontare le sfide, di abbandonare le nostre roccaforti e sicurezze per stringere nuove mani con l’aspirazione di costruire con migliaia di uomini e donne, un futuro diverso nell’ Europa che guarda al Mar Mediterraneo. Allora in quella mattina di nebbia alla partenza da San Cristóbal nessuno sapeva cosa sarebbe successo ma siamo partiti e questo si tratta di fare continuamente: non avere paura di mettersi in cammino perché il cammino si fa camminando.
Speciale in Desenformemonos
Articolo di Angel Luis Lara
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Associazione Ya Basta

mercoledì 16 febbraio 2011

EZLN - La guerra di Calderón produrrà migliaia di morti e lauti guadagni economici

15 / 2 / 2011
Marcos discute su chi beneficerà di questo affare e a quale cifra ammonta

Se la guerra di Felipe Calderón Hinojosa (benché si sia cercato, invano, di addossarla a tutti i messicani) è un commercio (e lo è), manca la risposta alla domanda per chi o quale è l’affare, e a che cifra ammonta, perché non è poco quello che è in gioco, sostiene il subcomandante Marcos in uno scritto sulla guerra del Messico dell’alto, diffuso oggi.
Da questa guerra non solo ne verranno migliaia di morti e lucrosi guadagni economici. Ma anche, e soprattutto, ne verrà una nazione irrimediabilmente distrutta, spopolata, spezzata, avverte il capo militare dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN): La nostra realtà nazionale è invasa dalla guerra, per il resto persa dal governo perché concepita non come la soluzione ad un problema di insicurezza, ma ad un problema di mancanza di legittimità. Questa guerra ora distrugge l’ultima cosa che rimane di una nazione: il tessuto sociale.
L’esperienza bellica non solo non è più lontana per chi era abituato a vederla in geografie o calendari distanti, ma incomincia a governare le decisioni e le indecisioni di chi pensava che i conflitti stavano solo nei notiziari e nei documentari di luoghi lontani come Iraq, Afghanistan o Chiapas.
Scambio epistolare
Marcos sottolinea che la guerra si svolge ora in tutto il Messico. Grazie al patrocinio di Calderón Hinojosa non dobbiamo ricorrere alla geografia del Medio Oriente per riflettere criticamente sulla guerra, dice al filosofo Luis Villoro come parte di uno scambio epistolare in corso su etica e politica: Non è più necessario ripercorrere il calendario fino al Vietnam, Playa Girón, sempre la Palestina. E non cito il Chiapas e la guerra contro le comunità indigene zapatiste, perché si sa che non sono più di moda.
Per questo, aggiunge il capo zapatista, “il governo dello stato del Chiapas ha speso un mucchio di soldi per far sì che i media non lo collochino sull’orizzonte della guerra, ma dei ‘progressi’ nella produzione di biodiesel, nel ‘buon’ trattamento degli emigranti, dei ‘risultati’ in agricoltura ed altre storielle ingannevoli passate a comitati di redazione che firmano come proprie le veline governative povere di forma e contenuti”.
L’irruzione della guerra nella vita quotidiana del Messico attuale non arriva da un’insurrezione, né da movimenti indipendentisti o rivoluzionari. Secondo il subcomandante Marcos, viene, come tutte le guerre di conquista, dal Potere. E questa guerra ha in Felipe Calderón Hinojosa il suo iniziatore e promotore istituzionale (e vergognoso).
Calderón “si è impossessato della titolarità dell’esecutivo federale per le vie di fatto”, ma non si è accontentato del supporto mediatico ed è dovuto ricorrere a qualcosa di più per distrarre l’attenzione ed eludere la massiccia messa in discussione della sua legittimità: la guerra. Questo ha suscitato la sfiducia timorosa degli industriali messicani, l’entusiasta approvazione degli alti comandi militari ed il caloroso plauso di chi realmente comanda: il capitale straniero.
La critica a questa catastrofe nazionale chiamata “guerra contro il crimine organizzato”, riflette Marcos, dovrebbe essere completata da un’analisi approfondita dei suoi sostenitori economici. Non mi riferisco solo al vecchio assioma che in epoche di crisi e di guerra aumenta il consumo superfluo. Nemmeno “agli incentivi che ricevono i militari (in Chiapas, gli alti comandi militari ricevevano, o ricevono, un salario extra del 130% per essere in ‘zona di guerra’)”. Bisognerebbe cercare anche tra le licenze, i fornitori ed i crediti internazionali che non rientrano nella cosiddetta “Iniciativa Mérida”.
Ricorrendo a fonti d’inchieste giornalistiche e cifre ufficiali, il comandante ribelle rileva che nei primi quattro anni della guerra contro il crimine organizzato, gli enti governativi incaricati (Segreteria della Difesa Nazionale, Marina e Pubblica Sicurezza – SSP – e Procura Generale della Repubblica) hanno ricevuto dal Bilancio di Spesa della Federazione una somma superiore a 366 mila milioni di pesos (circa 23 miliardi di Euro al cambio attuale).
Il capo ribelle tira fuori cifre inquietanti: Nel 2010 un soldato semplice federale guadagnava circa 46.380 pesos l’anno (2.852 Euro); un generale di divisione 1 milione 603 mila 80 pesos l’anno (98.575 Euro), ed il Segretario della Difesa Nazionale percepiva redditi per 1.859.712 pesos (114.317 Euro). Con il bilancio bellico totale del 2009 (113 mila milioni di pesos per i 4 enti – 6.948.820.000 Euro) si sarebbero potuti pagare i salari annui di 2 milioni e mezzo di soldati semplici; o di 70.500 generali di divisione; o di 60.700 titolari della Segreteria della Difesa Nazionale.
Ovviamente, non tutto quello che è a bilancio viene speso per stipendi e prestazioni. C’è bisogno di armi, attrezzature, munizioni… perché quelle a disposizione non servono più o sono obsolete, aggiunge nell’analisi. “Lasciamo da parte la domanda ovvia di come è stato possibile che il capo supremo delle forze armate, Felipe Calderón Hinojosa, si lanciasse in una guerra (“di lungo respiro”, dice lui) senza avere le condizioni materiali minime per sostenerla, non diciamo per ‘vincerla’..”
Per il subcomandante zapatista, “il principale promotore di questa guerra è l’impero delle torbide stelle e strisce (a conti fatti, in realtà gli unici complimenti ricevuti da Felipe Calderón Hinojosa sono arrivati dal governo nordamericano)”. Stando così le cose, gli Stati Uniti vinceranno con questa guerra locale? La risposta è sì, sostiene.
Lasciando da parte i guadagni economici e gli investimenti monetari in armi, munizioni e equipaggiamenti, il risultato è la distruzione/spopolamento e ricostruzione/riordino geopolitico che li favorisce.
Marcos lamenta che la guerra (persa dal governo perché concepita non come la soluzione ad un problema di insicurezza, ma ad un problema di mancanza di legittimità), sta distruggendo l’ultima cosa che rimane di una nazione: il tessuto sociale. E questo, per il potere statunitense, è l’obiettivo da raggiungere.
Ritiene che ad ogni passo di questa guerra, per il governo federale è sempre più difficile spiegare dove stia il nemico. E questo non solo perché i mezzi di comunicazione di massa sono stati superati dalle forme di scambio di informazioni della gran parte della popolazione (non solo, ma anche dalle reti sociali e dalla telefonia mobile); ma anche e, soprattutto, perché il tono della propaganda governativa è passata dal tentativo di inganno allo scherzo. Nello stesso tempo, le “rivelazioni di Wikileaks sulle opinioni dell’alto comando statunitense circa le ‘deficienze’ dell’apparato repressivo messicano (la sua inefficienza ed il suo connubio con la criminalità) non sono nuovi”.
Fin dall’origine, questa guerra non ha una fine ed è persa, perché non ci sarà un vincitore messicano (a differenza del governo, il potere straniero ha sì un piano per per ricostruire / riordinare il territorio), e lo sconfitto sarà l’ultimo angolo dello Stato Nazionale agonizzante: le relazioni sociali che, dando identità comune, sono la base di una nazione. In conclusione, l’identità collettiva del Messico sta per essere distrutta e soppiantata da un’altra.
La versione completa di questo passaggio dello scritto Sopra le Guerre si trova on-line.
Su Enlace Zapatista
Testo originale su La Jornada