La forza degli zapatisti
di JAIME
MARTINEZ VELOZ
Da La
Jornada di Città del Messico.
Il prossimo primo di gennaio si compiranno 18 anni
dall’insurrezione armata capeggiata dall’Esercito Zapatista di Liberazione
Nazionale (Ezln). Un paese sulla soglia della modernità fu sorpreso del fatto
che migliaia di insorti, in maggioranza indigeni, avessero preso le armi, come
ultima risorsa, per lottare per una vita migliore per i popoli indigeni e per
il paese.
La mobilitazione di migliaia di messicani obbligò lo
Stato a negoziare con gli insorti una soluzione degna e giusta. Dopo più di due
anni di intensi negoziati, ci fu il primo accordo tra il governo federale e
l’Ezln in materia di diritti e cultura indigeni, che fu firmato il 16 febbraio
del 1996 nel municipio di San Andrés Larráinzar, in Chiapas.
Quando si tentò di inserire questo accordo nella
legislazione messicana, mediante un’iniziativa di legge elaborata dalla
Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa), la reazione dello Stato fu
brutale, cinica e crudele. L’iniziativa di legge conteneva i postulati testuali
più importanti dall’accordo firmato dal governo federale e l’Ezln; non c’era un
solo concetto che non fosse stato concordato dalle parti. La reazione dell’Ezln
di fronte all’iniziativa elaborata dalla Cocopa fu di accettazione, e quella
delle autorità fu di scandalo ed ipocrisia. Il presidente della repubblica ed i
gruppi di potere economico del paese accusarono la Cocopa e l’Ezln di voler
balcanizzare, dividere e frammentare il paese. Coloro che lanciarono queste
accuse sono gli stessi che concessero 25 milioni di ettari alle compagnie
minerarie straniere e nazionali, le quali tra il 2005 e 2010 estrassero risorse
minerali per un valore di 552 miliardi di pesos (circa 33 miliardi di euro, ndr)
e pagarono solo 6 miliardi e 500 milioni di pesos per i diritti, cioè, l’1,18%.
Nel 2002, dopo la trionfante marcia zapatista in
diverse parti del paese, l’allora presidente Vicente Fox trasmise l’iniziativa
di legge al Congresso dell’Unione, attraverso il Senato della Repubblica, dove
la legge fu smantellata ed al suo posto fu approvato un obbrobrio legislativo
la cui premessa principale era che quella sarebbe stata la strada per far
uscire fuori dall’arretratezza e dall’emarginazione i popoli indigeni messicani.
Si stabiliva che il tema dell’arretratezza e dell’emarginazione in materia
indigena era una questione di programmi ed aiuti governativi, non di pieno
esercizio dei diritti costituzionali: ci si rifiutò così di compiere quanto
concordato a San Andrés Larráinzar.
A più di dieci anni dalla promessa delle istituzioni
messicane agli indigeni di farli entrare in paradiso, in cambio del rifiuto di
applicare quanto concordato tra l’Ezln ed il governo federale, la realtà dà
ragione agli zapatisti e mette in evidenza il più grande dei fallimenti dello
Stato. Tra il 2002 e 2012, la spesa federale annuale per i popoli indigeni è
passata da 16 miliardi e 663 milioni a 39 miliardi e 54 milioni di pesos.
Tuttavia, i dati di povertà ed emarginazione delle stesse agenzie governative
non riportano alcun impatto sulla riduzione della povertà indigena; al
contrario, questa è aumentata, ed è sempre più offensiva per una nazione dove
fin dal 1917 tutti i governi ammettono nei discorsi ed in modi diversi il
debito del Messico con i suoi indios e si dicono impegnati a sconfiggere le
ingiustizie che essi subiscono.
Secondo i dati del Consiglio Nazionale di
Valutazione della Politica di Sviluppo Sociale (Coneval) e i dati su entrate e
uscite del 2010, mentre la media nazionale del tasso di povertà estrema e
moderata è del 46,2%, nelle comunità e villaggi indigeni è del 79,3%, cioè
quasi il doppio. Otto indigeni su dieci non hanno avuto accesso alla terra
promessa dallo Stato messicano, che l’aveva loro offerta loro in cambio della
non applicazione quanto pattuito a San Andrés Larráinzar.
Secondo i dati del Coneval, l’80,3% degli indigeni è
al di sotto della soglia di benessere, l’83,5% non ha accesso alla previdenza
sociale, il 50,6% non conta su servizi di base nella propria abitazione ed il
40,5% soffre di carenze alimentari. Per questo diciamo che in materia indigena
non ha fallito la politica pubblica, bensì la leadership dello Stato; la
politica verso gli indigeni è stata di palliativi, perché non ha una visione
articolata e progetti di cambiamenti strutturali, com’è contemplato negli
accordi di San Andrés Larráinzar.
Dopo il tradimento governativo, l’Ezln decise una
strategia di resistenza, rafforzando la sua organizzazione con la creazione
delle giunte di buon governo, con il lavoro collettivo e la solidarietà
comunitaria. Negli ultimi anni sono andati avanti in silenzio, lontani dalla
propaganda. Alcune persone distratte, o quelli che hanno scommesso sulla
scomparsa del conflitto o l’oblio, diffondono voci o tentano di confondere,
sostenendo che l’Ezln non è più un problema, dato che, dalla loro ottica, gli
zapatisti non fanno più notizia, quindi non esistono.
I dati qui esposti, che mostrano il fallimento
governativo verso questo settore della popolazione, dovrebbero far capire alle
élite messicane che perfino il silenzio è una forma di lotta e che non ha
niente a che vedere con una presunta debolezza, in questo caso, dell’Ezln. Al
contrario, mentre lo spreco ed il fallimento sono sinonimo delle politiche
pubbliche, l’organizzazione, il lavoro e la disciplina sono ciò che ha
contraddistinto lo zapatismo in questa tappa.
Gli zapatisti vivono, si organizzano e lavorano in
una realtà di grandi carenze materiali che suppliscono con creatività e
dedizione. Hanno obiettivi chiari che trascendono le generazioni; i loro
argomenti sono irrefutabili, la vitalità e la consistenza delle loro
convinzioni sono state una scuola di vita per migliaia di messicani. Un
abbraccio affettuoso a tutti gli zapatisti che là, nelle loro comunità, lottano
ogni giorno per costruire un futuro migliore per il nostro paese. Come dicono
da quelle parti: non siete soli!
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