martedì 4 agosto 2009

Argentina: Processi ai militari. E' stata fatta giustizia?

Il 23 aprile 2009 nel Tribunale di Comodoro Py nella zona di Retiro a Buenos Aires,Víctor Enrique Rei, comandante della Gendarmeria, è stato condannato a sedici anni per appropriazione e soppressione d'identità del figlio dei desaparecidos Pedro Sandoval e Liliana Fontana.
La condanna è la prima che viene attuata con un percorso di ricerca fatto con il prelievo di campioni di materiale genetico avuto tramite una perquisizione giudiziaria.
E' anche la pena più alta comminata per "un apropiador" (colui che è accusato di sequestro e di appropriazione di figlio di desaparecido).
In una sala affollata di realtà sociali, come quelle di H.I.J.O.S, Madres e Abuelas de Plaza de Mayo, ex detenuti in periodo di dittatura e attivisti di movimenti come il Colectivo Situaciones e il MTD Solano, c’era anche la presenza di Ya Basta!.
Quando il giudice María del Carmen Roqueta, presidente del Tribunale Oral Federal 6, dichiara che rubare bambini è un reato di lesa umanità e chiede che si faccia luce anche per altri capi di accusa, quali la partecipazione di Rei negli interrogatori con torture ai prigionieri sequestrati, che egli ha svolto nella caserma di Campo di Mayo, la soddisfazione dei presenti è stata enorme.
I militanti presenti al processo, si sono tolti i maglioni che indossavano per far vedere la maglietta che portavano sotto con stampate le foto di Lili e Pedro e con la scritta Giustizia, e cantando tutti insieme "... come ai nazisti succederà, dove sia vi andremo a cercar..."
Il tribunale ha dato indicazione all'Albo degli avvocati di analizzare la violazione di tutte le norme etiche e professionali da parte dell’ avvocato difensore di Rei, Alejandro Macedo Rumi, che ha provato in tutti i modi di difendere il suo assistito, anche giustificando azioni utilizzate dalla dittatura considerate non accettabili in qualunque vera democrazia.
Militanti del Fronte Rivoluzionario “17 Ottobre”, Pedro e Liliana sono stati sequestrati nel 1977 e visti l'ultima volta in vita nel centro clandestino “Club Atlético”.
Liliana, 20 anni, è stata portata via il 26 dicembre, poco tempo prima della data del parto di suo figlio, che voleva chiamare Pedro.
Rei, su indicazione della "Direzione d'Inteligencia della Gendarmería del Primo Corpo del Esercito", ha iscritto il neonato il 5 aprile 1978.
L'atto di nascita l'ha firmato il cardiólogo militare Julio Cáceres Monié, che ha collaborato con altri otto ladri di bambini.
Nel 2006 la Banca Nazionale di Dati Genétici dell’Ospedale Durand, conferma che il DNA di Alejandro è compatibile in un 99,999996 per cento con quello di Fontana-Sandoval.
E' stata fatta giustizia?
da *Edgardo Fontana (Colectivo Situaciones)
* fratello di Liliana e zio di Alejandro Sandoval Fontana
http://www.pagina12.com.ar/diario/elpais/1-123818-2009-04-24.html
Si è concluso il processo orale e pubblico all’ex comandante di Gendarmería Víctor Rei, che tre decenni fa si è appropriato di mio nipote Alejandro, dopo aver sequestrato mia sorella Lili e il suo compagno Pedro Sandoval, entrambi militanti del Frente Rivoluzionario 17 Ottobre. Il tribunale ha ritenuto responsabile Rei per i reati di "appropriazione ed occultamento di un minorenne" e "falsificazione ideologica di documenti pubblici" e l'ha condannato a sedici anni di carcere, questa è la condanna più alta data ad un caso come questo.
Ha meravigliato tutti coloro che hanno assistito ai dibattiti in aula, l'atteggiamento presuntuoso dell’accusato, che non ha ammesso nemmeno ciò che il processo ha messo chiaramente in evidenza, cioè che Liliana ha dato alla luce suo figlio in un centro clandestino di detenzione e che il risultato delle prove del DNA, portato avanti durante il processo giudiziario, dimostrarono senza ombra di dubbio, che Alejandro è suo figlio.
Come può essere possibile che Victor Rei continui a negare pubblicamente e continui a coinvolgere Alejandro in un meccanismo perverso, che inizia con quello che hanno fatto ai suoi genitori tanti anni fa?
Coloro che hanno partecipato alla repressione nella dittatura militare hanno scelto di fare parte di un tessuto ideologico ed operativo fortemente settario, che non gli permette di costruire una argomentazione giudiziaria più o meno credibile.
Aggrappati ai loro miti ed ad un'articolata retorica, la strategia è quella di non riconoscere globalmente l'ordine giudiziario che si azzarda a processarli, appellandosi ai ragionamenti più primari e lineari "con coloro che abbiamo vinto in periodo di guerra, abbiamo perso in periodo di pace".
Trovano del tutto inconcepibile che siano i " terroristi" coloro che accusano "i salvatori della patria", e non è un ragionamento ingenuo, perché presuppone l' attualizzazione di quello schema istituito dal potere genocida ( che non è stato mai completamente smantellato).
Di fatto si può percepire la soddisfazione che esprimono nel ricordarci che una volta erano loro ad avere il potere sulla vita e la morte di ogn’uno di noi .
Comunque, la causa di questo discorso tetro è l'impotenza e l’esibizione della trama miserevole che sostiene oggi la loro vita.
Ciò che questi personaggi pretendono di coniugare è il risultato negativo, che la testimonianza, che riporta verità, avrebbe sulle proprie biografie.
Non dimenticheremo mai tutti questi anni di ricerca a tatto, come bambini che cercano con le loro mani nel buio e si angosciano perchè non hanno la capacità di trovare un punto di sostegno.
Quella ricerca, da una parte, non finisce mai, sia perchè ancora oggi, ci sono tanti ragazzi che continuano ad essere sequestrati, sia perchè, è il nostro caso, avere trovato Alejandro non significa avere cancellato tutto, se non ci disponiamo ad una esperienza di costruzione che sarà difficile e dolorosa , perchè esige sostegno e mutuo rispetto per i trenta anni che ogn’ uno ha vissuto in modo così diverso.
Tutti sappiamo che questa nostra storia manca di un "finale felice".
Finisce una tappa in maniera positiva ed è estremamente importante trasmettere questa sensazione : ciò che abbiamo costruito in decenni di lotta per la verità e la giustizia, trova oggi un valore pubblico definitivo attraverso questa condanna giudiziaria contro coloro che continuano a tacere, con evidente codardia.
Senza disconoscere la lentezza e la insensibilità che caratterizza il Potere Giudiziario, valorizziamo in questi processi, una certa capacità di istituire una legalità comune, sulla base della lacerazione che la dittatura ha generato, impugnando tanto il miserevole patto di silenzio del quale "i repressori" si fanno scudo come nel ridicolo scenario conciliatorio che negli ultime decenni ci è stato offerto..
Che cosa allora siamo riusciti ad ottenere in questa cerimonia giudiziaria?
Condizioni di dignità elementari che riescono a fare immaginare nuovi punti di partenza, favorendo la capacità sociale per affrontare le sfide del presente .
Non si tratta allora di un porto d'arrivo, ma nemmeno di una formalità senza conseguenze.
E' stata fatta giustizia?
Difficile rispondere.......
da un punto di vista riparatorio, la condanna è inevitabilmente parziale.
C’è qualcosa di irreparabile , lo sappiamo, quando si annullano migliaglia di persone e poi si instaura per decenni l'impunità.
E' evidente d’altra parte che qualche anno di carcere non spegne il dolore e le perdite, che sono ovviamente irreversibili....
teniamo presente però, la lotta di coloro che durante tutti questi anni hanno insistito nella esigenza di verità e giustizia e consideriamo che queste sentenze sono un precedente che potrà essere considerato dalle future lotte che verranno per combattere la prepotenza repressiva dei poteri.
Forse la giustizia non è altro che questa creazione di giurisprudenza, cioè, la maniera che abbiamo come società civile, di valorizzare i successi che accadono.
Non sento che in questo processo sia stata messa in gioco la "restituzione" di Alejandro, sento il diritto ad esercitare finalmente la sua libertà.
La possibilità di scegliere il suo proprio destino non può misurarsi in termini di " a quella famiglia appartiene", il quale è per noi una novità e una sfida.
Bisognerà vedere se siamo all'altezza di questa ricerca che ha perso il suo aspetto fantasmatico, da quando è diventata carne di qualcuno che come tutti noi è essenzialmente un enigma non decifrabile.
Durante queste dure settimane di udienze abbiamo sperimentato qualcosa che sentiamo fondamentale e che trascende le istanze giudiziarie.
Mi riferisco alla sensazione di poter contare su di una rete viva di affetti e complicità che ci potenzia, fatta di amici e compagni di diverse generazioni e esperienze.
Non si può dire che coloro che ci sono stati vicini, ci abbiano semplicemente accompagnato o di essere stati solo solidali, poichè si sono coinvolti attivamente.
In quella rete troviamo il sostegno e un appoggio quotidiano, per vivere questo presente pieno di complessità e paradossi, dove nonostante tutto, continua ad essere possibile costruire un immagine di gioia collettiva.
da Susana Ciummelli - Ya Basta! Marche

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